Pubblicato il 18/06/2020
“Ma tu, ti diverti?” – fatica, motivazione e divertimento
scritto da Alice Buffoni *
Provate a chiedere a un ciclista pro se durante la gara si diverte. Per chi non ha mai praticato uno sport di resistenza è difficile capire cosa ci sia di divertente nel sottoporsi ad uscite massacranti, a fatiche apparentemente illogiche, come scalare lo Zoncolan, ad esempio.
Il concetto comune di divertimento non è generalizzabile, il più delle volte nemmeno applicabile alle prestazioni di alto livello agonistico. È piuttosto un contenitore di molte diverse sensazioni, che concorrono a sostenere la motivazione di un atleta.
Per la psicologia dello sport, la motivazione è la vera benzina degli sportivi e pertanto va curata e alimentata ogni giorno, costituisce una riserva preziosa da cui attingere nei momenti più difficili. Con i nostri atleti lavoriamo molto sulla Motivazione Primaria o Intrinseca, che è correlata ai concetti di competenza e autodeterminazione e si sviluppa durante l’infanzia: imparare nuove cose e sentirsi competenti nello svolgerle stimola il senso di autoefficacia e di conseguenza l’autostima, innescando un circolo virtuoso che genera piacere. Con il tempo il bambino impara a riconoscere queste emozioni positive e tenderà a ripetere le attività che possono procurargliele. In un atleta adulto, allenarsi duramente permette di migliorare, di sentirsi più competente e di risvegliare quindi le sensazioni antiche di benessere e gioia che ha sperimentato da piccolo, mentre esplorava il mondo. La fatica che per uno spettatore sembra insormontabile, per un ciclista può essere un mezzo necessario per raggiungere autostima, benessere e soddisfazione.
Un atleta di sport di endurance difficilmente ci racconterà che durante la gara si diverte, piuttosto ci dirà che in alcuni punti del percorso si è esaltato o è riuscito ad entusiasmarsi, ha provato inaspettata leggerezza o grande soddisfazione nel sentirsi performante. È molto importante tenere conto delle sfumature linguistiche quando ci si relaziona con gli atleti. Per un agonista il concetto comune di divertimento non è applicabile, ma è il risultato di una somma di sensazioni profonde e diversificate, di cui la fatica non solo fa parte, ma spesso è anche determinante.
Per questo motivo occorre lavorare su tutte quelle sensazioni positive che vengono effettivamente sperimentate in gara, isolandole dall’inevitabile fatica del gesto atletico; queste possono diventare ancoraggi utilissimi nei passaggi critici della competizione, ma non solo: costituiscono un vissuto positivo molto importante da rievocare nei periodi di recupero, a gara conclusa, e in fase di allenamento.Photo Credit Dario Belingheri - Fly Cycling Team
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* Alice Buffoni - Content Editor per il Centro Studi, supporto didattico al Master MAPS, da anni scrive di Psicologia dello Sport.